Fanfict vincitrice del contest "FANFICT CONTEST: LADY OSCAR"
“Qual era il Dio che osava invocare?
E ce n’è forse alcuno che possa
qualcosa contro l’amore?”
(Choderlos del Laclos,
Les liaisons dangereuses)
André si chinò lentamente per raccogliere il biglietto da terra. Era stordito dall’abbondante vino servito a cena, e l’oggetto gli sembrò estremamente piccolo e friabile tra le sue mani. La carta frusciò, e André lesse. Alzò la testa. In quel momento, con la coda dell’occhio scorse Oscar passare nel corridoio mentre si sbottonava la casacca da comandante. Aveva il cuore istupidito. Gli venne da spalancare la bocca.
***
- Mi è parso un libro sicuramente immorale – disse Oscar,
versando all’ospite dell’altro vino. – Ma non da meritarsi fama satanica –
aggiunse. -
Beh, la fama satanica da qualche tempo a questa parte giova. I poeti non
disdegnano di adornarsene, specie per aumentare il proprio ascendente presso le
fanciulle. Ma ditemi, comandante, come mai il mio romanzo vi è sembrato
immorale?
Oscar
gli diede una rapida occhiata. De Laclos era un uomo sui quarantacinque,
snello, col viso segnato dal sole di molti e lunghi anni di vita militare. Non
indossava parrucca e teneva i capelli, grigi e diradati sulla nuca, raccolti in
un vezzoso nastro verde ricamato di minuscoli smeraldi. Dava la rassicurante e
allo stesso tempo tagliente impressione di essere una roccia. I tre commensali
erano ormai alla terza bottiglia di vino, ed egli era l’unico a non mostrare
alcun segno di ubriachezza.
-
Io non l’ho trovato affatto immorale – intervenne André.
L’ospite
gli indirizzò uno sguardo obliquo, di condiscendenza indurita.
-
Tu sai leggere, André? – domandò.
-
Sì…ho letto il vostro romanzo, e secondo me ha molti fondi di verità.
-
Oh – disse Oscar stupita – e quali?
-
Per esempio l’ipocrisia – azzardò timido – della nobiltà, prima di tutto, e
delle istituzioni che regolano la vita…il matrimonio, per dirne una, che tra
nobili è sempre combinato. Questo rovina l’istituzione, non sembra anche a te,
Oscar?
-
Ma bravo, André – commentò De Laclos – ti sei dimostrato assai più perspicace
della tua affascinante padrona. Hai mai pensato di diventare uomo di lettere?
Oscar
si morse le labbra per non reagire. L’apprezzamento incrociato dell’ospite non
le era piaciuto per niente.
-
Vogliate scusarmi – disse, alzandosi – ma si è fatto tardi, e i turni della
Guardia Reale, come voi sapete, nell’ultimo periodo si sono intensificati.
Buonanotte, Monsieur De Laclos. La nostra carrozza vi scorterà fino al Palais -
Royal. Buonanotte André.
Pronunciate
queste parole, uscì dalla sala da pranzo. ***
Il finestrone punteggiava le lenzuola dei bagliori delle
stelle di una notte straordinariamente limpida, e André si svegliò. Nel buio
rischiarato dalla presenza di una enorme luna azzurrognola, cercò i vestiti ed
uscì ficcando un fazzoletto nel portone, perché non facesse rumore chiudendosi.
Infilando una giacca troppo pesante per quel maggio torrido, si diresse verso
la stalla, e, sellato il cavallo, partì verso Parigi. Sul
lungosenna deserto la Conciergerie occhieggiava distrattamente verso di lui,
riflettendo il lume dei lampioni sulle lucenti tettoie d’ardesia. Una
fisarmonica suonava in lontananza. Il canto dei grilli, che lo accompagnava
nelle cavalcate solitarie, era misteriosamente cessato con l’avvento della città.
Il
Palais - Royal sorgeva pigro in un’area apparentemente sfarzosa, ma circondata
da vicoli sudici, echeggianti dello squittio dei roditori. Dalla sella André
scorgeva la luce e l’ombra passare a striature sui volti stanchi, smunti delle
prostitute appoggiate lungo il colonnato. Alcune sembravano appena ragazzine, e
portavano capelli rasati, con chiazze più folte, come se avessero avuto la
rogna. O come se qualcuno avesse loro strappato le chiome con le mani.
Arrivato
di fronte al cancello, legò il cavallo e si diresse verso il cortile interno.
C’era un alto muro di cinta, ma André era agile. Messi i piedi sulla ghiaia
attorno alle pareti esterne del palazzo, si affrettò a rileggere il biglietto.
Voleva calcolare l’altezza e il luogo della stanza indicata, basandosi sulla
sua esperienza di palazzi nobiliari.
Ad
un tratto, mentre strisciava sotto una finestra sul retro, per caso lo sguardo
gli sfuggì all’interno. Là, dentro una sala più fioca delle altre, illuminata
soltanto da un candelabro a tre braccia, scorse monsieur De Laclos, circondato
da tutta una serie di altri letterati che André conosceva di nome o di vista.
Al centro della sala, seduta su una poltrona rivestita di velluto candido e
pellicce del colore della neve, stava Oscar, completamente nuda e con un
bicchiere di liquore nella mano destra. I suoi capelli scintillavano
eccessivamente per la poca luce circostante, mandando riflessi innaturali.
I
presenti avevano l’aria divertita. Ma André si sentì, all’improvviso, il collo
ingozzato di lacrime. Il cuore gli rimbombava di rabbia nelle orecchie.
Tornò
a palazzo Jarjayes in un galoppo forsennato, la testa stretta a quella del
cavallo, gli occhi rossi per il pianto. La scalinata che conduceva alle camere
da letto della servitù, luogo familiare alla sua vista, gli parve un nero
labirinto, il soffitto a cassettoni un’orrenda bestia che si chinasse per
agguantarlo. Il vino gli rintronava nella testa, ed ebbe la tentazione di
accasciarsi sul pianerottolo e soccombere.
***
Oscar
camminava sola nel giardino di Versailles. Si guardava i piedi, le punte degli
stivali bianchi che andavano progressivamente ricoprendosi di polvere. Ogni
mattina, durante le ore ancora poco afose in cui la corte usciva a passeggio,
era solita fermarsi all’ombra di un salice, poggiare la mano sulla frescura del
tronco e ascoltare le conversazioni portate dal vento.
Proprio
mentre compieva quel gesto d’abitudine, la sua attenzione fu scossa da un
fruscio insolito, che agitava il prato e l’aria, accompagnato da una specie di
gemito soffocato. Si voltò. Era una dama, una donna sui trenta vestita di tutto
punto, che correva tenendosi la complicata pettinatura con le mani, in una posa
comica. L’espressione che aveva stagliata sul viso era di felicità e di
affanno. Si fermò, e nella sua scia non tardarono a farsi sentire i colpi di
tacco di un cavaliere. Questi era un uomo dal volto maturo, scialbo, con occhi
pallidamente azzurri e folte sopracciglia chiare. Si fermò anche lui, in
ginocchio, andando a tuffare violentemente la testa nelle mani della fuggitiva.
Ne respirò aspramente il profumo. Poi si scostò per guardarla negli occhi.
Oscar
trasalì. Lo sguardo dell’uomo era rapito, ammaliato, un misto tra la meraviglia
e la devozione assoluta. Non aveva mai visto una cosa del genere. Non ci volle
molto perché Oscar realizzasse che si trattava dell’ammirazione di un
innamorato.
“
Gli uomini guardano le donne con stupore”, si disse. E, chissà perché, le venne
da ridere.
Immediatamente,
mentre si nascondeva la bocca in un guanto, altre strane risate fecero eco alla
sua. Si voltò, c’erano uomini e donne della corte che stavano a guardarla, ma
in disparte, con espressioni come di qualcosa che non si dovesse sapere.
***
Quando
lei non c’era, specie nei momenti di melanconia, era solito entrare nella sua
stanza di nascosto, e lasciare che le membra si stendessero dove dormiva Oscar.
Desiderava sfasciarsi, là sopra. Anche quella mattina giaceva lì, le narici
invase dallo strano odore del cuscino, una specie di compromesso impossibile
tra un’ombra di cosmetici femminili e una caserma piena di cavalli e uniformi
sudate.
André
si adoperava per zittire i mal di testa dovuti a una sonora sbronza e i mal di
vivere dovuti a una più sonora delusione. Gelosia, rabbia. E più rabbia ancora
perché conosceva bene sé stesso e il sapore insipido dei suoi personali moti di
rassegnazione. Movimenti di quella voce che aveva imparato a disprezzare con
lealtà, che gli ripeteva in continuazione che Oscar poteva fare quel che le
pareva. Bastava che fosse felice. E sarebbe stato felice anche lui.
Era
una voce magra, una voce di adolescente e di vecchio allo stesso tempo, una
voce che di certo non aveva il tono della virilità di un uomo annebbiato dai
suoi medesimi sentimenti, un uomo che avrebbe gridato mia! Solo mia, solo mia,
solo per il mio sguardo, solo per le mie carezze, solo per il mio desiderio.
Si
alzò d’improvviso, furibondo. Io non mi lascerò fermare, si disse: basta, io
non mi lascerò fermare, non mi lascerò fermare da questa voce.
Tre
quarti d’ora dopo smontava da cavallo davanti al Palais – Royal. Il sole era
scomparso, e il cielo si era fatto di piombo. Ma, si disse André, non avrebbe
piovuto. Fu sotto nubi di rabbia senza sfogo che si fece annunciare presso il
signor Pierre – Ambroise - François Choderlos de Laclos.
Questi
apparve stupito di vedere l’attendente del Colonnello de Jarjayes. Lo salutò
con un allegro buongiorno. Si era appena svegliato, e giochicchiava in maniera
infantile coi lacci di una vistosa vestaglia in seta rossa, ricamata di pizzi
color granata.
-
Siediti pure dove vuoi – disse, conducendolo nella sala dove, la sera
precedente, André aveva scorto Oscar nuda di fronte a un plotone di
gentiluomini. La vista della poltrona bianca foderata di pellicce gli mandò il
sangue al cervello, donandogli uno strano colorito intenso, quasi paonazzo.
Rimase in piedi.
Laclos
lo guardò.
-
Cosa c’è? Un uomo che lavora come te non dovrebbe mai rifiutare la comodità di
una sedia, quando gli venga offerta – disse.
-
Monsieur – gracchiò André, ormai completamente arrochito – voi dovreste
spiegarmi diverse cose.
-
Cosa, esattamente?
-
Ad esempio, questo. Reca la vostra firma.
A
Laclos fu porto il biglietto. Lo riconobbe subito, e la sua iniziale
espressione enigmatica cambiò in una sonora risata.
-
Ah ah ah! Ebbene? E’ forse reato porgere a una bella dama come la tua padrona
un invito galante?
-
No - disse André. – Ma non è nemmeno reato cercare di proteggere i propri
sentimenti. Monsieur Laclos, io non sono un nobile e non ho guanti. Ma sapete bene
dove voglio arrivare. Scegliete voi l’arma. -
Scegliete voi l’arma – fu la risposta.
-
E va bene – sospirò Laclos. – La pistola mi sembra la cosa migliore, che ne
dici?
-
Non ho preferenze – disse André. – Domattina, alle sette a palazzo Jarjayes.
Portate un medico con voi – aggiunse.
Detto
questo fece per girarsi ed andarsene, ma il suo interlocutore lo fermò.
-
André - disse – permettimi un avvertimento. Tu mi sembri uno di quegli uomini
deliranti, che chiamano se stessi uomini di sentimento, che hanno la
fantasia tanto esaltata da credere che la natura abbia messo ogni loro senso
nel cuore, e, non avendo mai riflettuto sui loro casi, confondono l’amore con
l’amante, al punto che, presi da questa folle illusione, credono che solo la
donna dalla quale hanno avuto una volta un po’ di piacere ne sia l’unica
depositaria, e, da veri puritani dell’amore, hanno per il sacerdote
quell’adorazione e quella fede che sono dovute soltanto alla divinità! Tu
tratti imprudentemente l’amante di oggi come se non dovesse diventare la nemica
di domani. Stai attento.
Ad
André pulsavano le tempie da quant’era furibondo. Gli venne voglia di menare
pugni nell’aria o di pestare i piedi per terra, in un gesto di furia puerile. Ma
si trattenne, e girò istantaneamente i tacchi.
-
Oscar non è la mia amante – disse. E se ne andò.
***
- Che stai scrivendo, André? Hai forse preso sul serio le
parole del signor De Laclos? Vuoi diventare uomo di lettere? – rise Oscar,
trovandolo seduto al calamaio. André
le rivolse uno sguardo pieno di stanchezza.
-
Oscar, scusami – disse – puoi farti accompagnare dal cocchiere, al ballo?
Stasera proprio non me la sento.
-
Lo vedo che sei stanco. Ma che è successo?
-
Ma niente, niente, le solite cose…con tutti questi ospiti negli ultimi giorni
sono rimasto un po’ indietro col lavoro, e domani mi aspetta una giornata
faticosa. Preferisco riposarmi, ti spiace?
-
Sì, mi dispiace – ammise Oscar. – Di solito sei tu quello che ai balli si
diverte un mondo, tenendomi aggiornata su tutti i pettegolezzi di corte. A me
queste cose non interessano, non ci capisco niente. Per esempio, è tutto il
giorno che sento gente ridere alle mie spalle e non capisco perché.
André,
che ascoltava Oscar con lo sguardo rivolto verso il foglio ancora bianco, ebbe
un moto involontario. Tremò per un istante, gli occhi gli si spalancarono oltre
misura.
-
André! Va tutto bene?
-
Sì, sì, Oscar…scusami, te l’ho detto, sono stanco. E pigro. Stanco e pigro, mi
conosci – si schermì.
Oscar
gli sorrise. Sollevando il colletto della casacca con fare civettuolo, esibì la
divisa fresca di bucato con una giravolta ironica.
-
Come sto? – chiese ridendo. Soltanto,
avrebbe voluto dirglielo. Invece disse:
-
Girati un’altra volta, che non ho visto bene.
***
Aveva paura. Ma non della morte. Della reazione di Oscar,
che sicuramente sarebbe stata furiosa. Allo stesso tempo, aveva paura che la
calligrafia gli uscisse troppo tremolante, con sbavature sui margini che
avrebbero reso la lettura difficoltosa. Mia Cara Oscar, ti chiedo perdono. Perdona
le decisioni avventate che, mio malgrado, non riesco a frenare. Per tutta la vita,
tutta la mia devozione. André Grandier. Si spogliò. Slacciandosi le
scarpe, lo sguardo gli corse al finestrone. Il sole stava tramontando dal lato
della casa che poteva vedere. Camera sua era rivolta all’ovest. Gli parve un
segno del destino. Si ricordò di una frase ascoltata di nascosto da un
precettore di Oscar: in latino, il significato del verbo occidere, da
cui deriva l’occidente, ha a che fare con la morte. Questo pensiero paradossalmente
gli colmò il corpo di serenità. Tutto era collegato. Le cose andavano come
dovevano andare. Còlto come da una profonda spossatezza, si avvolse nelle
lenzuola. Erano lenzuola leggere, di cotone ricamato di fittissimi rametti blu,
che ne rendevano il tessuto quasi monocromatico. Andare a letto con la luce del
tramonto gli ricordava l’infanzia, i primi anni vissuti a palazzo Jarjayes,
dove lo costringevano a coricarsi presto contrariamente alle sue abitudini di
aspettare i genitori che lavoravano fino a tarda notte. Il cielo di maggio,
rosso come una fiamma scoppiettante, era contrastato da impetuose nubi blu, che
lo solcavano spesse annullandone la luminosità. André sapeva a memoria quelle
nubi, sapeva a memoria il loro colore, e sapeva anche ciò che nessun altro
poteva dire di conoscere: che il colore degli occhi di Oscar, quella tonalità
nebulosa e cerulea dalla tavolozza cangiante e inafferrabile, era esattamente
il blu delle nubi di fine primavera al tramonto, nell’ovest del cielo di
Francia. Blu di cielo, blu di lenzuola,
si confuse con l’orizzonte fino alla notte, e fu un dolcissimo piacere. Non
pensò più nulla, cercando di fare ciò che fa un essere invisibile. Perché una
volta ucciso, o avvolto nelle lenzuola, o una volta confuso con il cielo, André
sarebbe diventato invisibile. Si addormentò con nella testa
l’immagine di Oscar che si asciugava le labbra con il dorso di una mano, dopo
aver bevuto dal ruscello di Arras. *** Alle sei e trentaquattro minuti
della mattina del 23 maggio 1788, il Colonnello delle Guardie Reali Oscar
François de Jarjayes cavalcava alla volta del Palais – Royal. Quella notte, a
ballo appena iniziato, cosa inaudita per le usanze di Versailles, la regina
Maria Antonietta l’aveva convocata presso le sue stanze, riferendole di alcuni
pettegolezzi a lei giunti. Si parlava di una sua presenza alla dimora del duca
Filippo D’Orléans, discinta e in fervido colloquio con letterati conosciuti
come nemici della monarchia, e il diavolo sa cosa altro. Oscar schiumava
letteralmente di rabbia. Smontò ed entrò senza farsi
annunciare, chiedendo a gran voce, malamente afferrata per le spalle da un
servitore spaventato, di parlare con monsieur De Laclos. - De Laclos non c’è – le
annunciò una voce femminile invisibile, proveniente dal fondo della stanza
d’ingresso. La voce era squillante, a tratti tragica. Rimaneva nell’aria come
sottilissimi pezzi di cristallo dopo la rottura di un bicchiere. - Chi siete? – domandò Oscar,
cercando inutilmente di ricomporsi. Sotto la casacca,le viscere le si rivoltavano.
Dall’ombra profonda del palazzo
spuntò un ventaglio di piume rosa, e dietro una figura di dama. Aveva occhi
celesti, taglienti, con folte ciglia che andavano in tutte le direzioni, come
se fuggissero, e un neo di velluto su uno zigomo. - Mio Colonnello – proferì con
tono roco, accompagnando la frase con un inchino ironico – vi prego di
seguirmi. Nonostante fosse mattina, la
donna che precedeva il Colonnello nel lungo corridoio del palazzo era vestita e
pettinata di tutto punto. In particolare, Oscar fu colpita dallo strano
copricapo che indossava, una sorta di berretto maschile da caccia di un intenso
blu notte, dal quale scendevano lunghe trecce annodate in miriadi di cerchi
concentrici. La dama la condusse in una stanza poco illuminata, dove troneggiava,
contrastando con l’arredamento piuttosto spartano, una magnifica poltrona
bianca ricoperta di pelliccia di volpe. - Vi prego, sedetevi. Oscar rimase in piedi. - Chi siete? – ripeté. Fu solo allora che la sua
interlocutrice chiuse il ventaglio, rivelando la parte inferiore del volto. - Il mio nome è Ava Fedorovna,
contessa di Behemot – disse la dama. – Come potrete certo intuire, ho origini
russe. Oscar era agghiacciata. Non
poté fare a meno di portare la mano alla bocca. Il candore delle dita inguantate
si stagliò contro il rosa intenso di cui si erano colorate le sue labbra, per
la rabbia e lo stupore. La signora che le stava di fronte, eccezion fatta per
la massa di capelli castani, era la sua copia esatta. - Siete stata voi! – esclamò. - Oh, colonnello, mi hanno
detto cose così grandi di voi che di certo non mi aspettavo di sentir uscire
dalla vostra bocca una simile ovvietà – rise Ava Fedorovna. - Ma…ma come? E perché? La contessa riaprì il
ventaglio, e prese a sventolarsi con energia. - Cara madamigella de Jarjayes,
come anche voi sicuramente saprete, il nostro secolo si appresta ad essere
ricordato dai posteri per l’immensa e talvolta immotivata produzione di
parrucche di ogni tipo – disse. – Inoltre, al Duca d’Orléans piace giocare al
gioco della cospirazione. E noi giochiamo con lui. Questo almeno finché egli
sarà tanto assorbito dalle sue relazioni amorose da non accorgersi che
giochiamo a due giochi diversi. E voi – aggiunse, assumendo uno strano tono
strascicato e tragico – Colonnello, siete uno degli ultimi, se non l’ultimo,
simbolo di strenua moralità della monarchia. Il resto è andato tutto…beh,
potete immaginare dove, dal momento che frequentate Versailles. Sapete com’è,
trovo estremamente volgari certe espressioni della lingua francese. Ma sono
sicura che ci siamo capite lo stesso. - Io…io vi farò immediatamente
arrestare, signora – mormorò a quel punto Oscar, che, pallida in viso, già
cercava con la mano l’elsa della spada per estrarla dal fodero. La frase,
rimbalzando tra le pareti poco illuminate, risuonò innaturale. Ava Fedorovna rise di gusto, e
anche la sua risata, come la voce, era rauca e tragica, simile alla violenta
rottura di un oggetto prezioso. - E per cosa, – domandò – per
aver giocato un paio di sere ad essere voi? Mascherarsi non è reato. E badate
bene che ho avuto una straordinaria accortezza: non ho mai pronunciato il
vostro nome, né ho mai detto di essere chicchessia. Mi sono limitata a
sdraiarmi con una parrucca in testa, e chi mi ha incontrata ha tratto le sue
conclusioni. Vi sono uomini insospettabili che nutrono le fantasie più perverse
su di voi, mio Colonnello. Oscar smise di stringere i
pugni. Nonostante il sangue le ribollisse, lucidamente non poteva fare a meno
di notare che la contessa di Behemot emanava un fascino insidioso, e che era
dotata di uno spirito di persuasione assolutamente leggero, melodioso, eppure
trascinante come le catene di un prigioniero. - Piuttosto – aggiunse a un
tratto Ava Fedorovna – io mi preoccuperei per quel vostro servo, cara
madamigella. - Che servo? – domandò Oscar.
La mente le corse inevitabilmente ad André, l’unico dei suoi servitori per il
quale sentiva di doversi preoccupare che commettesse un’imprudenza. Ultimamente
lo aveva visto strano, come tra le nuvole, desideroso di solitudine. Il
pensiero che stesse per accadergli qualcosa, da raggomitolato in un angolo del
suo cervello che era, la invase completamente. - Ma sì, quel vostro…come dite
voi in Francia…insomma, un signore davvero di bell’aspetto, forse troppo alto
per il suo cavallo, con una giacca un tantino demodé. E’ venuto qui l’altro
giorno dicendo che stamattina avrebbe sfidato a duello il signor Laclos.
Dovrebbero essere nel vostro giardino proprio ora; spero che non si debba già
parlare al singolare. Se fossi in voi mi rincrescerebbe perdere un così bel
servitore, in Francia non se ne trovano, sa? *** André
Grandier non aveva mai ucciso un uomo in vita sua, e non era intenzionato a
farlo quella mattina. Continuava a girare su se stesso, gettando ritmicamente
la terra smossa nell’incavo di un piede con la punta dell’altro. La sua rabbia,
il suo disperato tentativo di far emergere l’amante che era in lui aveva
inglobato completamente la sua personalità, e in quel momento sentiva di non
poter essere altro.
Ma
era anche un amante dal cuore colpevole. Come se avesse peccato di tracotanza,
come se avesse volato troppo vicino al sole e adesso le sue ali di cera
stessero per sciogliersi. Alla fine della caduta, la morte. Eppure il suo
destino non lo spaventava. Certo lo rendeva nervoso, ma quasi nervoso con
delizia. Tra poco tutto sarebbe finito. Avrebbe pagato per le sue colpe, per
quest’unica volta in cui aveva osato voler intralciare la vita di Oscar e allo
stesso tempo per tutte le volte in cui, pur desiderandolo, non lo aveva fatto. E
soprattutto niente più struggimenti, niente più lacrime ricacciate indietro,
niente più logorio, stanchezza. Solo la beatitudine della notte dell’eternità,
un sonno senza sogni e senza risveglio.
Assorbito
in questi pensieri, quasi non si accorse che dietro di lui scendevano ,da una
carrozza coi finestrini oscurati da pesanti tende, il signor De Laclos e il suo
medico. L’avversario di André, solitamente vestito con eleganza persino
eccentrica, quella mattina indossava una semplice camicia bianca e stivali alla
cavallerizza, dal tacco basso. I due gentiluomini si salutarono in silenzio,
con un cenno del capo.
-
Quanti passi? – chiese il medico.
Spettava
a colui che aveva ricevuto l’offesa decidere. Dieci passi avrebbero significato
morte certa per uno dei due. Venti passi erano per un’onta grave, con
prospettive di spargimenti di sangue. Quaranta passi indicavano duellanti che
non miravano all’uccisione reciproca, volendo soltanto chiudere un conto.
-
Dieci passi – disse André. La sua voce echeggiò nell’aria pungente del
giardino, le cui piante, alle prime luci dell’alba, erano completamente avvolte
da un’ombreggiatura di colore viola.
***
- Permesso, permesso – balbettava Oscar facendosi strada
con le mani e i gomiti tra i servitori che erano accorsi in cortile non appena
uditi gli spari. Durante il tratto di strada, mentre il cavallo schiumava per
la fatica della velocità eccessiva, era stata furiosa con André. Era forse
pazzo a sfidare a duello un signore che faceva il militare da tutta la vita e
sapeva maneggiare qualunque tipo di arma meglio di chiunque? E, per di più,
nobile. Il che significava che, in caso di perdita di monsieur Laclos, André
sarebbe stato rinchiuso in prigione a vita. A quel punto un pensiero le aveva attraversato la mente,
come una lama gelida. André desiderava la morte. Non c’era altra spiegazione.
In entrambi i casi, l’avrebbe perduto. Arrivata a palazzo Jarjayes Oscar smise
di pensare, ma la parola perduto continuò a rintronarle nella mente
rimbalzando come un’eco, mettendole una paura sconosciuta, sottile, mai
provata. Mentre scostava spalle e teste per poter passare avanti, sentiva la
voce e il respiro cedere sotto il peso di quella paura. Trovò André a terra, la testa reclinata in una pozza di
sangue che gli aveva intriso la giacca, la guancia e i capelli, e sembrava
continuare ad allargarsi. Aveva gli occhi aperti, spaventati. Con uno strano
istinto di soldato si inginocchiò e, sentendo la paura crescere e mozzarle la
gola, lo prese tra le braccia, adagiandoselo sulla spalla per capire dove era
stato colpito. Tentò di tastargli il braccio, ma aveva le dita come in
convulsione. Dovette stringere e allargare il pugno più volte, per fermare il
tremore. Una voce continuava a ripeterle di non pensare. Non era questo il
momento di rendersi conto delle conseguenze. Tuttavia, Oscar sentiva il
cervello viaggiare e sfuggirle, sotto lo strato isolante di quella voce. Il proiettile aveva attraversato la clavicola sinistra.
Mentre cercava il foro d’uscita, si accorse che André era ancora vivo e la
stava guardando. All’improvviso ogni voce cessò, e Oscar non poté fare a
meno di lasciar sgorgare le lacrime. In un attimo piangeva, piangeva a dirotto,
coprendosi il viso con la mano imbrattata di sangue. Una goccia cadde sulla
guancia sinistra di André, rigando sotto l’occhio la macchia rossa che la
invadeva, come una cicatrice bianca su uno sfondo scuro. - Oddio…oddio, André – pianse – come stai? Ti…ti fa male? André non rispose. Soltanto, le gettò debolmente al collo
il braccio sano, nel tentativo di stringersi a lei. Oscar lo abbracciò come se
non l’avesse più visto da decine di anni. Si accorse di non essersi mai
avvicinata così tanto a lui da soffermarsi sul suo odore, che adesso le
giungeva alle narici. Odorava di fieno fresco, e di sapone da barba. Sentì sul
collo il suo fiato caldo sospendersi ritmicamente, e allentò la presa per
lasciarlo respirare. A quel punto lo guardò. Ebbe un violento sussulto. Le
pupille, ancora velate di lacrime, le si strinsero come capocchie da spilli. Il
suo amico stava aprendo le labbra per dirle qualcosa, e aveva occhi colmi di
meraviglia e devozione. In quegli occhi riconobbe lo sguardo innamorato che
aveva visto sul volto dell’uomo che inseguiva l’amata nel giardino di Versailles.
- Oscar, io… - mormorò affannosamente André. - Ti prego, non ora – disse Oscar scostandogli i capelli –
non ora. FINE Colonna sonora: Sting, Mad
about you
– Ah ah ah! Suvvia, André! Per così poco! E per una donna che non potrai mai
avere alla luce del sole! Lasciali a noi nobili questi giochi pericolosi.
La risposta di André rischiò per un istante di materializzarsi in un urlo di
dolore. Non l’avrebbe rivista mai più, ne era certo. Non si vince un duello
contro un uomo che ha alle spalle più di vent’anni di carriera militare. E lui,
André, che aveva alle spalle? Vent’anni dedicati a una donna che, come gli era
stato detto, non avrebbe mai potuto avere alla luce del sole.
Scrisse:
E perdona, soprattutto, le occasioni mancate cui non ho saputo rimediare.
Perdona la codardia del tuo servitore nel vero senso di queste parole. Poiché
ti appartengo nel cuore, oltre che nella persona.
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